KIERKEGAARD
Il pensiero di Kierkegaard è
profondamente immerso nella cultura della Danimarca del suo tempo, permeata
dall’ascendente di Hegel e dell’idealismo. Le elaborazioni del filosofo si
porranno, però, in netto contrasto con la cultura accademica dominante e saranno
segnate da uno stile personale che abbandonava il rigore del linguaggio
filosofico e la sua pretesa oggettività. Difatti, le caratteristiche della sua
filosofia furono:
L’esistenza: l’importanza
assegnata all’esistenza concreta degli uomini. È il singolo, l’individuo fatto
di carne e ossa, con le sue esigenze e i suoi dubbi a costituire l’oggetto
della sua ricerca. Kierkegaard abbandona ogni pretesa astrazione
generalizzante, ogni necessità e si concentra unicamente sulle scelte e le
opportunità della persona concreta.
La possibilità: la
centralità del criterio della possibilità, concepita come la cifra
caratteristica dell’esistenza umana. Per Kierkegaard è “possibilità-che-sì” ma
anche, al tempo stesso, “possibilità-che-non”. Con ciò il filosofo intende dire
che ogni scelta, ogni opportunità che si presenta all’uomo, impone sempre che
se ne scartino altre. C’è un rischio ineliminabile in ogni opportunità
esistenziale che porterà lo stesso filosofo all’immobilismo.
La riflessione soggettiva e
la storia: una rivalutazione della riflessione soggettiva, appassionata, in cui
l’uomo viene inserito nel contesto in cui vive senza garanzie e senza sapere o
sperare di poter percorrere una strada già segnata. La storia, secondo
Kierkegaard, è il risultato dell’azione incerta, casuale e problematica
dell’individuo.
L’aut-aut: il credere che la
vita, nel suo farsi, sia sempre caratterizzata da una scelta che obbliga ad un
“aut-aut”.
-GLI STADI DELLA VITA:
Nell’opera Aut-Aut
Kierkegaard presenta i primi due stadi esistenziali, cioè le due alternative di
vita che si presentano come scelte inconciliabili all’uomo: o l’una o l’altra,
senza nessuna soluzione di continuità o tentativo di mediazione.
LA VITA ESTETICA: Il primo stadio analizzato è quello della vita estetica: è il modo di
vivere in cui l’uomo rifiuta la banalità, la monotonia, l’impegno ma ricerca
solo e soltanto il piacere inebriante dell’avventura e dell’attimo intenso e
fugace. Emblema di questo stadio è la figura del don Giovanni mai pago delle
sue conquiste amorose. Ma, a detta del filosofo, il continuo passare da una
“storiella” all’altra è per il don Giovanni la prova lampante della sua
incapacità di stringere relazioni e sentirsi appagato. Scegliendo tutte le
donne, il seduttore in verità non ne sceglie nessuna. Così, la vita estetica è
il preludio prima della noia e poi della disperazione. Scegliendo di non
scegliere, in quanto rifiuta il peso di qualsiasi impegno, l’esteta si ritrova
a fare i conti con una vita vuota, priva di identità e senso. Ma, scegliendo la
disperazione, l’uomo può liberarsi dalle modalità di questa vita per
abbracciarne un’altra: la vita etica.
LA VITA ETICA: questo secondo stadio si fonda sulla scelta, sull’essere protagonisti di
un compito e di portarlo avanti con costanza. Emblema di questo stadio è il
buon marito, l’impiegato in cui l’individuo decide di abbracciare un “modello”
di comportamento e la “normalità”. All’eccezionalità dello stadio etico
sopraggiunge la routine. Tuttavia, anche questo stadio è destinato a condurre
l’uomo alla disperazione e all’angoscia in quanto l’individuo, seguendo “ciò
che va fatto”, non riesce davvero a realizzare la propria singolarità ma si
abbandona al conformismo e all’anonimato. La tranquilla e modesta vita che ha
scelto, inoltre, non appagano la sua voglia di infinito. La vita etica termina
allorquando l’uomo realizza di non poter superare la sua natura di essere
peccaminoso. Si sente, cioè, al cospetto di Dio, un essere insufficiente,
incapace di essere assolutamente buono. Dunque, si pente. E solo allora,
accettando per fede che Dio possa comunque salvarci dai nostri peccati, è
pronto ad entrare nell’ultimo stadio.
Abramo che contro ogni legge
morale, decide unicamente di seguire un comando divino. Difatti questo è il
momento in cui l’uomo è solo davanti a Dio, riconosce la propria finitezza e si
abbandona all’Assoluto. L’individuo sceglie dunque di credere e tenta di
superare l’angoscia e la disperazione che lo costituiscono riconoscendo la
propria dipendenza da Dio. Ma la fede non si configura come una scelta
rassicurante in quanto l’uomo si ritrova solo, al di fuori della mentalità e
dei costumi comuni, a credere in qualcosa che si pone aldilà della ragione o di
ogni comprensione. Tuttavia, nonostante il cristianesimo sia “scandalo e
paradosso”, è la sola arma che permette al singolo di sfuggire a quel senso di
vertigine dato dalle infinite possibilità di cui è costellata la sua vita.
Dio risulta quindi essere un affidamento ed un approdo, seppur problematico e drammatico, che permette di superare la propria inadeguatezza esistenziale. Il credente è rassicurato che, cioè, tutto ciò che è possibile è nelle mani di Dio.
Dio risulta quindi essere un affidamento ed un approdo, seppur problematico e drammatico, che permette di superare la propria inadeguatezza esistenziale. Il credente è rassicurato che, cioè, tutto ciò che è possibile è nelle mani di Dio.
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